Mi chiamo Kaori Nagai, ho 25 anni e sono nata a Minamisoma, in Giappone.
Nella mia famiglia eravamo io, mia madre Akane, mio padre Hideaki e mio fratello maggiore, Eiji (ha dieci anni più di me).
Mio padre lavorava alla centrale nucleare di Fukushima e mia madre faceva l’insegnante, una famiglia più che rispettabile che mi permise una buona istruzione ed una vita tranquilla.
Ho avuto un’infanzia uguale a quella di tutti gli altri bambini del giappone, fra scuola, amici.
Nel 2005 a mio padre venne offerto un lavoro in Svizzera, come ingegnere in una centrale dove si stava ideando un innovativo sistema di produzione dell’energia; l’idea era quella di portare tutta la famiglia a vivere in europa con lui, ma a mio fratello non piaceva l’idea.
Eiji era fidanzato, aveva un buon lavoro e non avrebbe lasciato il nostro paese per nessun motivo, ma mio padre decise di trasferirsi e se avesse voluto, Eiji avrebbe dovuto vivere da solo.
Non fu facile, poiché volevo un gran bene a mio fratello, ma ormai era un uomo ed aveva diritto a vivere la sua vita.
Come ormai tristemente noto, nel 2008 ci fu un enorme incidente a Ginevra, dove lavorava mio padre che beh.. non ce la fece. Le vittime furono tantissime e si scatenò il panico nelle città vicine, come vidi nei notiziari.
La cosa mi segnò profondamente, e persi notevolmente peso in quel periodo, fra il trasferimento in una zona sicura, il lavoro e mia madre che si era ammalata per via di quelle radiazioni e che finì per morire un paio di anni dopo.
Dopo anni vissuti a Kaliningrad lavorando come chimico nei laboratori Stelnov, fui coinvolta in un’esplosione nella stazione della città, causata da un ordigno zeta-attivo, cui riuscii a sopravvivere in qualche modo, per poi scoprire che in totale i sopravvissuti erano quattro.
Dopo breve tempo i medici russi capirono che non avevano le attrezzature adatte per provvedere alle nostre cure e fummo trasferiti ad una clinica specializzata vicino Bruxelles, per ricevere delle attenzioni adatte al tipo di danno che avevamo subìto e dove scoprimmo tutti e quattro di aver acquisito dei poteri.
Una volta in grado di camminare di nuovo, non passò molto tempo che un’organizzazione internazionale semi-governativa chiamata ECEC ci contattò e ci propose di lavorare con loro come agenti di pace, in cambio, avrebbero provveduto a finanziare le nostre cure, poiché i fondi con cui eravamo stati tenuti in vita erano esauriti.
Diciamo che chiamarla “proposta” non è propriamente esatto, dato che probabilmente senza quelle cure non saremmo vissuti molto a lungo, fatto sta che ora lavoriamo con loro come una specie di gruppetto di super strambi che lavorano con vaga discrezione e fanno venire un infarto al proprio coordinatore almeno una volta a settimana.